IN TUTTA COSCIENZA


In tutta ( o quasi ) coscienza…

Sembra che gli antichi testi sanscriti contemplino una ventina di vocaboli diversi per esprimere il termine “coscienza”. Non a caso, secondo il nostro parere: gli stati psichici che interessano l’uomo e che lo condizionano nella percezione del mondo esterno sono numerosi. Gli antichi dicevano, ad esempio: “in vino veritas”; e se fossimo costantemente ubriachi, dovremmo assumere questo stato come “normale stato di coscienza”. Questo per introdurre il quesito: qual è il “normale” stato di coscienza? e qual è il “vero” stato di coscienza? quello, cioè, che ci farebbe percepire veramente il “reale”?
Quello che abitualmente riteniamo “normale”, infatti, è solo uno schema di riferimento, quello cui, abitualmente appunto, ci rapportiamo.
Come collocare lo “stato di grazia” di chi medita? come collocare l’”estasi” di uno spirito religioso? come collocare lo stato d’”ispirazione” di un artista?
Ma andando a peggiorare (secondo il nostro schema di riferimento abituale): come collocare le percezioni sollecitate dalle droghe? (a questo proposito, non va trascurato che presso molte culture, per lo più tribali o antiche, certe profezie accreditate, certi consigli ritenuti divini, erano elargiti dallo stregone o dal saggio di turno proprio sotto l’effetto di particolari droghe).
Allora prendiamo per “buono” lo stato di coscienza abitualmente inteso, quello che definiamo normale in base allo schema, come sopra detto, di riferimento. Ogni altro stato di coscienza lo potremmo definire “alterato”. Ma non per questo dobbiamo necessariamente ritenerlo meno “vero”, meno vicino alla percezione della “realtà vera”. E’ risaputo che in condizioni di particolari alterazioni accade spesso che si affinino non solo i sensi ma anche le intuizioni della psiche.
Rapimenti dell’animo, estasi, visioni sublimi, stati di trance e cose simili sono abbondantemente descritti nelle varie letterature da santi, medium, poeti, pittori: tra tutti citiamo il padre Dante. Ed è molto difficile spiegarli scientificamente (anche se talvolta la psicanalisi ci dà una mano).
Che dire di quella certa categoria di persone che pretende voler giungere o tentare di giungere ad integrarsi in una “coscienza cosmica”?
Il discorso tende a farsi difficile. Raggiungere un tale stato può essere un’illusione psichica (conseguente ad una sopravvalutazione di sé o all’effetto di droghe) o, come affermano certe grandi personalità (e parliamo, per facilità di comprensione, di quelle del passato, tipo Buddha, Platone, Pitagora, Francesco d’Assisi, Caterina da Siena…), può essere una capacità reale che si ottiene seguendo pratiche di vita particolari.
In questo ambito si inseriscono le “coscienze iniziatiche”.
Possiamo considerarle coscienze “alterate”? Forse no. Una coscienza alterata, rimossa la causa che l’ha determinata, rientra e il soggetto interessato riacquista la coscienza “normale”.
La coscienza “iniziatica” si rivela per altre caratteristiche. Intanto essa sa esattamente cosa ha raggiunto in consapevolezza, il perché e a quale scopo; ma ancor prima ha avuto necessità di una “apertura”, una “entrata” (“initium” significa “principio”) ad una possibilità non accessibile a tutti. Generalmente questo inizio lo si ottiene per “investitura”, per un passaggio di potere per cui tale operazione è a beneficio di chi ha già in sé le caratteristiche richieste per tale “iniziazione” e si rivela necessariamente come trasmissione ininterrotta nel tempo da maestro ad allievo; l’allievo potrà addivenire alla maestria (potrà a sua volta essere trasmettitore del potere) realizzandosi certo con le proprie forze, ma non senza inserirsi in un ambito di altri individui che ricercano la stessa consapevolezza.
Una sola, importantissima attenzione: esistono scuole che si dicono “iniziatiche” e rispondono alle caratteristiche dovute; altre mancano di alcuni elementi necessari; altre ancora sono iniziative assolutamente cervellotiche se non addirittura nocive, “controiniziatiche”. 
trevab

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