Olio di oliva: lo stato dell'arte



Cosa si nasconde dietro l'etichetta?
L'assalto al mercato.

Lo scorso 20 settembre 2009 il quotidiano spagnolo El Pais scriveva che “per la maggior parte degli abitanti il pianeta, olio di oliva è sinonimo di olio italiano”.
Quanto è vera questa affermazione?
Che l'olio di oliva appartenga al codice genetico della storia e della cultura italiane è indiscutibile. Come è indiscutibile la fama che l'olio italiano gode in tutto il mondo. L'analisi dei dati reali dell'olio di oliva, non solo quello italiano, ma quello della produzione globale del pianeta, è in contraddizione con la fama che l'Italia si porta addosso. In realtà l'Italia da quasi vent'anni è netta fase discendente.

Il comparto oleario internazionale è in crisi profonda. Una crisi che, ben al di la degli aspetti quantitativi, riguarda i diversi aspetti qualitativi sacrificati irrimediabilmente sull'ara dei numeri.
Un tempo, circa 20 anni fa, l'Italia, e la Puglia in particolare, erano il paese e la regione dell'olio d'oliva per antonomasia. In questo primato, l'Italia e la Puglia, nell'inseguire in vano l'imperativo del mercato, sono state sorpassate da paesi come la Spagna e la Tunisia che per la quantità di ettolitri prodotti sono ormai imbattibili. Il vantaggio di questi paesi è dovuto soprattutto alla conformazione del territorio, in cui sono presenti i grandi latifondi, che hanno favorito questo sviluppo. Presto altri paesi si avvicenderanno in questo sorpasso al bel paese. India, Cina, Sud Africa e California, nei prossimi decenni, grazie alle politiche appropriate dei rispettivi governi, saranno i nuovi grandi produttori di olio di oliva.

Mentre negli passati in Italia c'è stata la totale assenza di una programmazione politica del comparto, che mirasse a qualificare il prodotto italiano, oltre che nel nome anche e soprattutto nella sostanza, paesi come la Spagna, hanno messo a segno politiche espansionistiche senza trascurare gli aspetti qualitativi, anche se in maniera del tutto marginale e senza una vera e propria cultura della qualità.
All'Italia oggi resta a mala pena la leadership morale oltre che quella dell'immagine. Riguardo alla questione dell'immagine c'è da dire, però, che nel nostro caso il ritorno d'immagine scarsamente di traduce in un ritorno economico equivalente. Una condizione data dai costi di produzione italiani che sono ben lungi da quelli del resto dell'Europa, non tanto per il costo della manodopera quanto per i costi elevati dati dalla parcellizzazione delle aree dedicate alle colture.

Questo dato di fatto è quanto più di reale ci sia se si pensa che i più noti marchi storici italiani sono ormai de anni nelle mani del gruppo spagnolo Sos: Dante, Carapelli, Bertolli, Sasso, Montolio, Giglio e Lupi per citarne i maggiori. Diversi sono ancora i marchi della Sos dall'esotico nome italiano come San Giorgio e Minerva. La strategia della Sos, infatti, di fonda essenzialmente sulla conquista del mercato grazie al rilevamento di aziende titolari di marchi leader del mercato in cui operano. Allo stato attuale la Sos è leader mondiale del mercato dell'olio di oliva in bottiglia tanto da poter influenzare e dirigere la “dieta mediterranea”. Un fatturato di circa 1.400 milioni di euro con quasi 3000 dipendenti in tutto il mondo. Di fatto questi grandi marchi, a ben guardare in etichetta, di italiano hanno solo le indicazioni di legge.


giuseppe vinci


pubblicato su Graffio - anno II - nr. 21 - 05 novembre 2010


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