Oro Verde 100% Italiano



Un comparto in continua crisi da anni: quello dell'olio di oliva.  
Un mercato che premia prezzi e profitti più che qualità e salute.
Il marchio 100% Italiano è davvero la soluzione al problema?


La normativa.
Lo scorso Gennaio 2010 è definitivamente entrata in vigore la regolamentazione italiana relativa alle norme per la la commercializzazione degli Oli di Oliva (Decreto 10 novembre 2009 - Disposizioni nazionali relative alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva – n.10A00315). La disposizione fa particolare riferimento alla designazione di origine del prodotto e scaturisce dal dispositivo C.E. n. 182/2009.
Al provvedimento si è giunti dopo anni di discussioni e di lotte sostenute anche in sede di commissione europea.
Il proposito della normativa (scritta interamente dalla Coldiretti e che ha portato a una lunga querelle) è quello di tutelare e valorizzare la produzione italiana. In etichetta, infatti, dall'entrata in vigore della normativa, il consumatore, trova le indicazioni di origine del prodotto, come ad esempio “Prodotto 100% Italiano” o “Prodotto di origine comunitaria”.
Le disposizioni comunitarie e italiane precedenti all'attuale normativa, infatti, non assicuravano in alcun modo il consumatore sulla provenienza di origine. Si dava quasi per certo che acquistando una bottiglia d'olio confezionato da un'azienda italiana, si stesse acquistando olio derivante dalla spremitura di olive di origine italiana. Ma ciò non sempre era vero, anzi.

 Un assaggiatore attento, non necessariamente un addetto ai lavori, è in grado di riconoscere dal solo gusto le qualità organolettiche e la provenienza del prodotto. Ma si sa, il palato pur essendo come un complesso laboratorio chimico non è in grado di rilasciare una certificazione valida a norma di legge.

Il mercato.
Il discrimine proposto ai consumatori è, da tempo, quello del prezzo, oltre che la fiducia riposta in un marchio conosciuto. La prima argomentazione è tutt'ora valida, ma solo parzialmente. Un litro di olio italiano, acquistato sullo scaffale, non dovrebbe costare meno di quanto costa a frantoio, non può essere, cioè, al disotto della quotazione ingrosso.

Trascuriamo, in questa occasione, la questione dei costi che concorrono alla formazione del prezzo di mercato in Italia e la comparazione a quello degli altri paesi comunitari. Una valutazione che merita un capitolo a se e che ci porterebbe lontani dall'analisi in oggetto.

Se l'attuale quotazione ingrosso (sfuso) di prodotto italiano si attesta intorno a 3,00 €., a questa vanno aggiunti i costi di lavorazione, confezionamento e distribuzione. Non si comprende come sia possibile trovare sullo scaffale oli extravergini di oliva italiani con dicitura 100%, con un prezzo ben al di sotto della quotazione ingrosso. Eppure, nonostante la normativa in vigore, troviamo sullo scaffale prodotto italiano 100% a prezzi molto al disotto della quotazione ingrosso. Un fatto che alle massaie non sfugge.

C'è qualcosa che non quadra.
Il discrimine del prezzo, infatti, pur essendo un valido argomento, non offre alcuna garanzia di tracciabilità. Non è detto, e nemmeno vietato, che un marchio italiano non possa confezionare olio di origine comunitaria, magari spagnolo, o addirittura di origine extracomunitaria, diciamo tunisino, fermo restando l'obbligo delle indicazioni in etichetta.

La normativa non certifica e nemmeno traccia le proprietà chimiche e organolettiche dell'olio, cosa complicatissima e al limite dell'impossibile. Il metodo di tracciabilità si limita al solo percorso della fatturazione, dal frantoio al confezionatore, intermediari compresi. Quello che conta, quindi, è la prima fattura, quella emessa dal frantoio che in questo modo certifica l'origine del prodotto. Per ovvi motivi è da escludere che in un frantoio italiano si possano molire olive provenienti da paesi comunitari e tanto meno extracomunitari, non solo per i costi che non reggerebbero il rapporto costo/resa. E' molto più conveniente importare olio che olive. Ci sarebbe in più il fatto che il trasporto influirebbe negativamente sulle condizioni del frutto.
Cosa dunque non quadra?

Le obiezioni.
La falla sta proprio nel sistema della tracciabilità che denota una netta discontinuità tra produzione e confezionamento, visto che si fonda solo sulla testimonianza del documento di compravendita, la fattura. Insomma, carta. Una falla che apre il varco alla contraffazione e alla truffa.

Non è detto che, in questo modo, non si possano scambiare i documenti e utilizzare un prodotto per un altro, qualora si ravvisi la convenienza. A ciò si aggiunge il fatto che a supporto del conferimento della materia prima - le olive - vi è una semplice autodichiarazione in fattura. Un'autocertificazione della quantità e della qualità, peso e acidità. Dettagli che possono ampiamente variare a discrezione, sempre che si ravvisi una convenienza.
A questo stato di cose mi si permetta un lapidario commento. L'occasione fa l'uomo ladro.
Da quanto considerato si evince che la regolamentazione in atto, è debole e rischia di portare a risultati opposti a quelli sperati.
In questo modo non solo non si favorisce la qualità italiana, ma la si costringe a un livellamento verso il basso. Verso il basso si costringe anche il palato dei consumatori inesperti che si rivolgono a questo prodotto. E ancora. Viene meno lo stimolo al miglioramento delle cultivar, inducendo a preferire quelle a maggiore resa senza pensare alla qualità. Si trascurano i metodi di coltura, di raccolta e di confezionamento, puntando soprattutto al fatturato, al profitto.

Profitti e qualità.
La corsa al profitto, in un mercato che punta esclusivamente ad affermarsi grazie al prezzo, ha portato negli ultimi vent'anni, tutto il comparto produttivo alla continua riduzione delle soglie di profitto e a una gara dei prezzi al ribasso che ha portato al collasso il comparto. Uno squilibrio compensato solo dalle grandi cifre. E si sa le grandi cifre le fanno le grandi aziende, sepsso le multinazionali, i grandi gruppi industriali come il Sos spagnolo, proprietario, tra gli altri, dei marchi italiani come Carapelli, Bertolli, Sasso, che di italiano hanno solo il nome.
In queste condizioni a farne le spese sono i protagonisti più piccoli, i quali, schiacciati dai costi e dal mercato vengono indotti a trascurare la qualità, pur di continuare ad esistere. Una condizione, questa, che ha i suoi effetti negativi anche in termini di occupazione.

I problemi restano.
Non starò, in questa sede, ad indicare le possibili soluzioni, anche perché dalle considerazioni fatte sono emerse non poche indicazioni.
Per il momento mi limito a considerare che se la normativa è tesa a tutelare e promuovere l'Olio Extravergine di Oliva 100% Italiano, l'obbiettivo non deve limitarsi ai soli risultati economici. Deve rivolgersi innanzitutto agli aspetti qualitativi. Non fosse altro per il fatto che, allo stato attuale, il mercato italiano dell'Olio di Oliva non può competere, in termini economici, con i mercati concorrenti, soprattutto quello spagnolo e tunisino.
A tale riguardo è necessaria ancora una considerazione. Tra i paesi comunitari non esiste un protocollo normativo univoco per il trattamento fitosanitario delle piante d'olivo, il che è tutto dire, soprattutto per la questione dei residui fissi provenienti dai fitofarmaci.


Papille gustative e olfatto.
Fino a quando la normativa non sarà integrata con disposizioni reali sulla tracciabilità, non possiamo che invitare il consumatore ad essere accorto, a richiedere qualità, a educare il palato. La qualità, anche in casi come questo, influisce sulla salute: sulla salute del consumatore.

Giuseppe Vinci

Commenti

Anonimo ha detto…
Caro Giuseppe, l'articolo è di grande interesse, almeno per me. Ieri ho acquistato, alla LIDL, sei bottiglie d'olio EXTRA VERGINE DI OLIVA marchio : "Primadonna", in offerta ad €. 1,89 anzichè 2,89.
Ovviamente l'ho acquistato per usarlo al posto dell'olio di arachidi che uso per friggere. Ho pensato, essendo extra vergine, terrà meglio dell'altro. Io sono molto sensibile, cerco sempre olio extravergine sia per condimento che per la cucina. A parte questo esempio della LIDL, io, quando è possibile lo acquisto direttamente dal frantoio, ma non sono mai sicuro di quello che acquisto. Mi sembrano tutti uguali, rimpiango quell'olio di una volta che si acquistava direttamente dai "trappiti" e che ti lasciava quel pizzicorino in gola e si sentiva l'odore e il sapore delle "olive".
E' possibile che non si possa, con grande severità, imporre alle aziende di farci sapere esattamente (seria tracciabilità)cosa acquistiamo?
Abbracci
Giuseppe Gatto
giuseppe vinci ha detto…
E Così siamo alla concorrenza con se stessi. Come se 2,89 €. non fosse già indicativo di quanto è critica la situazione.
La questione del gusto, poi...
La responsabilità di questa ultima situzione è tutta della Coldiretti e del ministro. Sembra quasi che abbiano fatto un gioco a perdere, nemmeno bravi a tutelare la loro categoria!

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