Il Testimone Perenne


Riflessioni sulla coscienza e la Tradizione

 “Non rimandare mai l’osservazione su te stesso a più tardi!”

Quello che ci accade o che facciamo accadere, a seconda della eccezionalità dell’evento, diventa per l’uomo occasione di osservazione.
Accadimenti particolarmente spiacevoli o particolarmente felici, in genere, sono i soli eventi che ci inducono a riflettere su quanto accade. A causa della natura particolare dell’evento ci chiediamo il “perché”, a volte cercando risposte in cause sovrannaturali, o a noi esterne essendo queste le giustificazioni più facili da addurre, per liquidare in fretta il problema, semmai dovesse essere tale e acquietare la coscienza. Raramente l’uomo cerca la verità nella legge di causa ed effetto di cui è l’artefice, spesso inconsapevole.
Come venirne a capo?
Dietro ogni fenomeno, al di la delle apparenze, vi è la cosa in sé, il puro oggetto della conoscenza.
Come approdare a questa conoscenza?

Quando parliamo di accadimenti non dovremmo soffermarci alle sole manifestazioni esteriori, visibili all'occhio fisico. Varrebbe la pena indagare soprattutto quegli eventi intimi che accadono e si dipanano nella mente come nella coscienza: desideri, passioni, paure, eccitazioni, la felicità, la depressione e l’euforia.
Si tratta, dunque, di un vero e proprio lavoro interiore che comincia con l’osservazione, con la coscienza autoriflessiva che si posa, ad ogni istante, sulle continue scene che si stagliano sullo schermo della mente e che spesso sono in grado di condizionare eventi futuri, scelte apparentemente autonome e coscienti ma anche e soprattutto azioni riflesse, condizionalte, apparentemente spontanee, istintive e abitudinarie, meccanismi di autodifesa tendenti a conservare lo status quo a cui, spesso, siamo morbosamente e inconsciamente affezionati, attaccati.

Questo lavoro non può essere rimandato a dopo, anche se si tratta di un lavoro pesante, impegnativo, che potrebbe sconvolgere le nostre abitudini, convinzioni e convenzioni, costringerci a ripensare radicalmente il senso della nostra esistenza. Rimandare l'osservazione della coscienza aumenta il peso del fardello futuro e da vita a quello che la tradizione indù chiama debito karmico, determinando quel meccanismo di causa ed effetto che conduce alla sofferenza.

L’osservazione, come indica la tradizione estremo orientale (Zen)  va compiuta "qui e ora" (hic et nunc), ad ogni istante, qualsiasi cosa si stia facendo, portando la coscienza ad essere pienamente consapevole, divenendo il “testimone perenne” dell’esistenza.

A volte diciamo, “questa situazione la conosco già, questa condizione l’ho già vissuta, prima o poi passerà” e così evitiamo di affrontare il problema, di cercarne la soluzione, perdendo una preziosa occasione e aumentando il fardello dei nodi della coscienza, fino a perdere dallo schermo della mente il fenomeno da osservare, per conoscere e rettificare sé stessi.

“Non rimandare mai l’osservazione su te stesso a più tardi!”

La tradizione sapienziale ammonisce “vigilanza e perseveranza”, ovvero osservare costantemente se stessi e perseverare nel lavoro di rettifica: esortazione ribadita dalla tradizione alchemica col motto VITRIOL: visita interiora terrae rectificando invenies occultum lapidem.
Per il praticante che intende realizzare sé stesso attraverso l'autocoscienza questo è un imperativo, un dovere fondamentale, imprescindibile, il lavoro essenziale corrispondente allo svelamento (aletheia) della coscienza dalla coltre dell’ignoranza (maya) che la ricopre.
Osserveremo quindi l’ira, la rabbia, l’avidità, la sensualità, la gelosia, l’invidia, l’ambizione, al loro insorgere, senza identificarci, discriminando il fenomeno dal noumeno, il soggetto dall'oggetto.

Questo lavoro, oltre ad essere un esercizio formativo, è il primo passo che conduce alla risoluzione dei nodi e porta la coscienza alla consapevolezza di sé.
Da dove nasce questa rabbia, perché quest’ansia che ci tormenta, che ci fa perdere il sonno e assedia la mente?
Ma la stessa indagine andrebbe fatta anche intorno ai successi della vita poiché anche questi, per i più, rappresentano una forma di attaccamento e di identificazione.

Come influiscono queste modificazioni della mente sulla coscienza, sui comportamenti quotidiani, nei rapporti con il mondo, e quali altri semi causali nasceranno dalle nostre azioni condizionate, quali saranno i suoi effetti, e quando si manifesteranno?
Più osserveremo e più gli occhi della coscienza impareranno a distinguere elementi sempre più rarefatti, nascosti nelle pieghe più recondite della coscienza, ciò che abitualmente chiamiamo inconscio.
Conoscere i nodi della coscienza significa anche poterli sciogliere, rimuoverli, sgrossarli così come il muratore e lo scalpellino sgrossano la pietra fino a renderla perfetta e adatta alla costruzione o all’opera che vanno compiendo.
Così l’osservazione, la coscienza osservante, è un potente strumento di lavoro, un mezzo operativo autocoscienza, di trasformazione e liberazione della coscienza individuata (jiva), imprigionata nel limite della materia dal potere proiettivo della māyā: l’ignoranza metafisica, essenziale, in cui l’uomo si è proiettato dimenticando nelle acque di Lete la sua reale e profonda natura di essere luce, realtà fatta di coscienza e beatitudine (sat-cit-ananda).
Sottrarsi a questo lavoro significa negare la conoscenza e ogni possibile percorso di realizzazione di sé.

Il Testimone Perenne è la luce perenne della Pura Coscienza quale raggio polarizzato della Coscienza Universale. E' pura consapevolezza, e si concretizza nella Conoscenza Tradizionale che si trasmette nei secoli, è il fuoco dei filosofi che arde perennemente, è il lavoro iniziatico che si protrae incessantemente e senza soluzione di continuità lungo i millenni, è l’attenzione, l’osservazione continua.

"Ritorna in te stesso e guarda: se non ti vedi ancora interiormente bello, fa come lo scultore di una statua che deve diventar bella. Egli toglie, raschia, liscia, ripulisce finché nel marmo appaia la bella immagine: come lui, leva tu il superfluo, raddrizza ciò che è obliquo, purifica ciò che è fosco e rendilo brillante e non smettere di scolpire la tua propria statua interiore, finché non ti si manifesti lo splendore divino della virtù e non veda la temperanza sedere su un trono sacro.
... Se tu sei diventato completamente una luce vera, non una luce di grandezza o di forma misurabile che può diminuire o aumentare indefinitamente, ma una luce del tutto senza misura, perché superiore a ogni misura e a ogni qualità; se ti vedi in questo modo, tu sei diventato ormai una potenza veggente e puoi confidare in te stesso. Anche rimanendo quaggiù tu sei salito né più hai bisogno di chi ti guidi; fissa lo sguardo e guarda: questo soltanto è l'occhio che vede la grande bellezza. Ma se tu vieni a contemplare lordo di cattiveria e non ancora purificato oppure debole, per la tua poca forza non puoi guardare gli oggetti assai brillanti e non vedi nulla, anche se ti sia posto innanzi un oggetto che può essere veduto. È necessario, infatti, che l'occhio si faccia uguale e simile all'oggetto per accostarsi a contemplarlo. L'occhio non vedrebbe mai il sole se non fosse già simile al sole, né un'anima vedrebbe il bello se non fosse bella.
Ognuno diventi dunque anzitutto deiforme e bello, se vuole contemplare Dio e la Bellezza"
(Plotino - Enneadi I, 6, 9).

giuseppe vinci

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