Licio Gelli. Una farsa tutta italiana.


Un autogol firmato l'Espresso.

Sembra proprio che la vecchia Italia, quella della prima repubblica, della quale alcuni pezzi sono ancora seduti in parlamento, non sia in grado di produrre nulla di meglio di un folle prezzolato come Licio Gelli. Un figuro che rievoca oltre ai noti fatti (molti ancora da chiarire) della P2, anche oscuri intrecci con servizi deviati come Gladio, occulto braccio armato dello stato, artatamente rimosso dalla memoria collettiva.
Una situazione davvero preoccupante se si pensa che a far da coro a questa situazione sia un media di grande tiratura come l'Espresso. E infatti il settimanale finanziato da De Benedetti, gli dedica lo spazio necessario a farlo apparire come un vecchio saggio della politica italiana, quasi un profeta inascoltato da cui si ha tutto da imparare.

E' proprio vero - non resta altro commento - che gli italiani, a cominciare da quelli che conservano la memoria storica come l'Espresso - e questo è ancora più assurdo - la memoria l'hanno completamente persa.
Nell'intervista del 18 giugno scorso all'Espresso, il millantato Maestro Venerabile della Loggia P2 (in realtà era il Segretario della loggia, all'epoca dei fatti), dopo aver creato non pochi problemi al paese e aver ulteriormente alterato la credibilità della Massoneria Italiana, già di per se in grosse difficoltà, vista l'infinità di ombre e pregiudizi che l'accompagnano nella sua storia secolare, si è prodotto nell'ennesima assurda farsa.

Non pochi problemi lo pseudo Venerabile ha cerato in vent'anni a un paese già malridotto da un passato fatto di stragi di stato e di terrorismo, rosso e nero. Basti pensare a quanto è costata la commissione Anselmi e venti anni di processi che non hanno sortito nulla.
E' l'Italia della prima repubblica ancora rappresentata in parlamento dai vari affiliati alla cupola del materassaio di Arezzo, come lo ha definito l'attuale Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, la prima comunione massonica italiana legittima.
Un paese che a distanza di 30 anni, sta consegnando alle future generazioni uno stato sociale fatto a brandelli, un debito pubblico da paralisi, beni e servizi pubblici sempre più simili a quelli di un paese arretrato, sottosviluppato, in cui a dominare la scena sono escort e furbetti del quartiere; immobiliaristi d'assalto e banchieri; faccendieri di ogni sorta e sciacalli reduci da L'Aquila; Protezione Civile dedita a sostenere interessi privati e i nuovi schiavi di Pomigliano; dulcis in fundo un presidente del consiglio nelle vesti del nuovo duce, attorniato da una fitta corte di scherani osannanti, intento a elaborare dritte e scappatoie per evasori fiscali, pedofili con e senza talare, schiavisti, mafiosi e fuorilegge di ogni sorta.

Silvio Berlusconi, l'innovatore liberista, il profeta del bavaglio, l'inquisitore dello statuto dei lavoratori, il rivoluzionario della libera impresa, quella che lui vorrebbe libera di assumere schiavi a basso costo.
Tessera n. 1816 della pseudo loggia massonica P2. Più che una loggia di liberi muratori intenti a "innalzare templi alle virtù e scavare profonde prigioni al vizio", come vorrebbe la Tradizione Iniziatica, una lobby trasversale dedita allo scardimanento sociale, culturale e politico di un paese fragile con un'identità continuamente minata da mille conflitti interni e una democrazia giovane, instabile, ma pur sempre la meno peggior forma governo di cui la storia umana ha saputo fin ora darsi.

Grazie all'Espresso, il colpo di grazia, Gelli, il redivivo, lo inferisce subdolamene alla democrazia, servendolo su un piatto già infuocato da mille problemi economici, sociali e politici.
"Il popolo oggi patisce, non arriva al 20 del mese. Qui siamo oltre i margini della rivolta - dichiara Gelli all'Espresso - siamo alla Bastiglia. La democrazia è una brutta malattia, una ruggine che corrode.  Guardi quello che accade in Grecia, in Spagna, in Portogallo: anarchia completa".



Come un grande vecchio manipolatore delle coscienze, un pericoloso demagogo, si lancia in una allucinante analisi da novello statista accattone con l'antica tecnica del bastone e la carota, tanto cara a chi considera l'uomo simile ad una bestia. E così lasciando intendere di comprendere le ragioni del popolo usa una carota avvelenata, intrisa di malafede e falsa propaganda giacobina rievocando l'assalto al forno, per poi colpire con il bastone dell'arroganza tipica del tiranno. La nostra democrazia, per Gelli, ha ormai il puzzo della carogna e coltiva l'ideale di un governo masmediatico nelle mani di pochi suoi eletti, escludendo dal suo rinnovato Piano di Rinascita anche il suo primo e miglior discepolo, il suo erede, come lo definì nel 2008 nel programma Venerabile Italia in onda su Odeon TV: Silvio Berlusconi, n. 1816.

"E’ vero, gli uomini al Governo si sono abbeverati al mio Piano di Rinascita, ma l’hanno preso a pezzetti". E continua. "Io l’ho concepito perché ci fosse un solo responsabile, dalle forze armate fino a quell’inutile Csm. [un dittatore. ndr] Invece oggi vedo un’applicazione deformata … Su questo esecutivo ho grandi riserve, ci sono gli stessi uomini di vent'anni fa e non valgono nulla. Sanno solo insultarsi e non capiscono di economia. Tremonti è un tramonto. Il Parlamento è pieno di massaggiatrici, di attacchini di manifesti e di indagati. Chi è sotto inchiesta dev’essere cacciato al primo istante, al minimo sospetto … Berlusconi deve essere meno goliardico, certamente non condivido ciò che accade per sua volontà".

Un redivido Licio Gelli, una farsa da repubblica delle banane e a consentire questo grottesco revival è uno dei più grossi gruppi editoriali italiani, l'Espresso, con a capo De Benedetti, uno dei più grandi antagonisti di Silvio Berlusconi. Ogni altro commento è superfluo.
Parla nel vuoto pneumatico della politica italiana, almeno quella rappresentata in parlamento, come se ci fosse solo quella, ingessata e incapce di elaborare, di sognare, un percorso consapevole e condiviso, una rinnovata civiltà, egualitaria, libertaria e radicale, attenta all'ambiente e in armonia con esso.

Giuseppe Vinci

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